Luca Zuterni, food creator, capo della brigata under 30 della Pedrera Restaurant, Soncino (Cr), ci parla del suo percorso, degli chef visti come star televisive, del rapporto tra arte e cibo ma anche dell’importanza dei social per promuovere il proprio locale al giorno d’oggi.

Luca Zuterni
Com’è iniziato il suo percorso in cucina?
È iniziato quando, all’età di 7 anni, per vedere mio padre che faceva il cuoco dovevo per forza recarmi al ristorante. Il primo ricordo che ho di lui è di me su uno sgabello davanti alla griglia mentre lui mi passava 200 fette di pesce spada da grigliargli. Successivamente ho iniziato a fare il cameriere fino ai 18 anni quando incontrai la chef Monica Carubelli che mi “incastrò” – scherza – nel ruolo di aiuto cuoco. Da li a breve iniziai, per due anni, a sostituirla nei suoi giorni di riposo fino ad arrivare a sostituirla per un suo cambio di lavoro. Dopo meno di 6 mesi Monica mi contattò per aprire, per conto di un imprenditore lodigiano, un nuovo locale da zero e nonostante la giovane età e la paura di fallire accettai, carico e motivato per questa nuova avventura. Ottimi risultati arrivarono; da li la decisione di non stare fermo in un posto. Iniziai a fare il vagabondo per l’Italia con una brigata di giovani qualificati, dai 21 ai 26 anni, facendo per davvero quello che tutti noi oggi vediamo in Cucine da incubo.
Come nasce l’idea per un suo piatto?
All’improvviso, svegliandomi nel cuore della notte, nei momenti più inaspettati, a volte immerso tra fumi e i vapori dell’alcool. Se un piatto mi fa pensare di essere folle e mi fa apparire folle agli occhi altrui per me significa avere fatto centro e che la strada intrapresa è quella giusta. Ad esempio il nostro filetto di maialino iberico fermentato 48 ore in infiorescenze di canapa sativa. Difficilmente un piatto che penso resta invariato nel corso del menù. A detta di molti la nostra cucina è una cucina arrogante e azzardata, ma a detta degli stessi ben riuscita; questo perché rappresenta a pieno il mio essere e la mia personalità ambiziosa, azzardata e ben riuscita.
Tradizione ed innovazione: della cucina moderna cosa pensa?
Se per moderna si intende attuale penso che, chi, come me, ha il compito di cucinare, dovrebbe concentrarsi di più sulla propria persona, sulle proprie idee, creandosi una propria strada e una personale identità, piuttosto di vendere come piatti propri quelli altrui.
Nelle ultime settimane il cibo contaminato è stato oggetto di servizi sui vari media: il veleno per topi nell’insalata, carne equina nei tortellini e nei sughi pronti, i cinghiali al cesio. Queste storture nella catena alimentare ci sono sempre state o siamo di fronte ad un enorme problema?
Siamo di fronte ad un enorme problema causato dal consumatore finale, sempre alla ricerca del prezzo a ribasso invece di guardare alla qualità e alla naturalità del prodotto. Per questo credo che sia fondamentale partire da materie prime di elevata qualità e più possibili derivanti da piccoli produttori indipendenti e preferibilmente a Km 0. Fondamentale è conoscere di persona i produttori per farsi un’idea sull’etica delle persone dalle quali acquistiamo il cibo da introdurre nel nostro organismo, avere la possibilità di entrare, visitare le aziende per toccare con mano i loro prodotti e verificare la genuità della loro filiera.
Cosa ne pensa del profilo dello chef che negli ultimi anni da artigiano del gusto è diventato star televisiva?
Come ho accennato prima, credo fermamente che siamo giunti a un momento in cui ci sia la necessità di scendere da quel piedistallo creato dai media e ritornare dietro i fuochi di una cucina; per ricominciare a creare, a cucinare e fare quello che realmente dovrebbe essere il nostro lavoro.
La cosa più importante in cucina?
Il rispetto per la materia prima, per l’habitué e per tutti i membri della brigato, che siano essi chef, souf chef, commis di sala, lavapiatti e giardinieri. Questo perché nessuno nel nostro lavoro è più importante di qualcun altro e questo serve per far percepire al cliente l’armonia e la determinazione del team per il raggiungimento dell’obbiettivo.
Cosa ne pensa della fusione tra arte e food, dato la recente collaborazione con Loris Zanrei, curatore di mostre d’arte e massimo esperto di innovazioni legate all’editoria con i magazine Arting News e Diciotto?
Penso fermamente che il legame tra le due discipline sia strettamente correlato e che l’una possa trovare vigore dall’altra. Dal mio punto di vista trovo nell’arte sempre nuovi stimoli e motivi di sperimentazioni e di azzardi nuovi. Come un artista utilizzi una tela per manifestare le proprie emozioni, i propri sentimenti, la propria personalità allo stesso modo uno chef riesce a fare questo con l’utilizzo di una ceramica, creando accostamenti visivi, gustativi e sensoriali inaspettati.
Com’è cambiato il lavoro dello chef al tempo dei social?
L’aspetto social è sicuramente da non trascurare, data la visibilità che si può ottenere da essi. Forse è triste dirlo, ma possiamo fare la cucina più buona, genuina e innovativa di tutti ma se ciò non arriva alla conoscenza del nostro bacino di utenza i nostri forzi divengono vani.
Come sono cambiati i clienti negli ultimi 10 anni?
Notiamo in molti clienti, solitamente i meno informati, un credersi e pensarsi ormai a livelli di guide e gourmand con l’arroganza di poter criticare, modificare e aggiustare piatti con dietro giorni e mesi di studi, fatiche e prove. La mia idea a riguardo è che se lo standard compartivo di quest’ultimi sono i sofficini di casa o la pasta scotta delle “bettola” forse prima di giudicare dovrebbero aprire i propri orizzonti mentali ed ampliare le proprie conoscenze.
Domande a cura di Barbara Galletti, stesura articolo Mara Gualina
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