L’innovazione è l’unica via per rilanciare marchi e guadagnare consumatori. Perciò le multinazionali del cibo si rivolgono alle imprese innovative per scovare nuove tecnologie e stare al passo con i tempi
A guardare i dati di mercato, i manager dell’industria dei dolci potrebbero dormire tra due guanciali. Secondo un’analisi del centro studi statunitense Allied Market Research, i ricavi del settore cresceranno fino al 2022 al ritmo di un +3,4% annuo, raggiungendo quota 232 miliardi di dollari. Ma ad alcune condizioni: che le aziende innovino i prodotti, trovino nuove combinazioni di gusti, fragranze e sapori, allarghino i circuiti di distribuzione e scartino lo zucchero, visto che per l’Organizzazione mondiale della sanità entro il 2020 il 73% delle morti sarà causato da diabete, ictus e infarti.
“Ci siamo resi conto che c’erano molte domande a cui non avremmo potuto dare una risposta internamente”, racconta a Wired Gil Horsky, direttore innovazione globale di Snack Futures, il polo dell’innovazione aperto da Mondelez. Lo scorso novembre la multinazionale statunitense che produce Oreo, Mikado, Toblerone e Milka, 26 miliardi di dollari di fatturato nel 2018, ha creato questo centro per progettare lo snack del futuro e tenere i suoi piani aziendali al passo coi tempi.
Lo snack 4.0
Altro peccato di gola tutt’altro che arrugginito, lo snack è, secondo la società di analisi di mercato Nielsen, “una rara storia di crescita globale” e nel 2017 ha totalizzato 3,4 miliardi di dollari di vendite. Tuttavia, spiegano da Nielsen, “le società devono aggiustare di continuo i loro piani di azione per centrare questi fiorenti bisogni dei consumatori”.
E qui entrano in gioco le startup del segmento foodtech (l’innovazione tecnologica applicata al campo alimentare). “Stiamo lavorando su tre aree chiave: benessere, qualità premium e piattaforme digitali”, aggiunge Brigette Wolf, a capo di Snack Futures. Ma per farlo, serve un aiuto esterno: imprese innovative, centri di innovazione, università. “Eravamo abituati ai nostri laboratori interni, ma non erano abbastanza”, chiosa Horsky.
Tra cambiamenti nei gusti dei consumatori, nuovi concorrenti, l’esodo dello shopping verso nuove vetrine, come per esempio gli uffici di coworking di Wework, e, infine, sotto la pressioni di fondi e azionisti attivisti, i colossi dell’industria alimentare stanno correndo ai ripari, osserva il fornitore di dati Cb Insight. Corteggiando le startup, prima che siano troppo grandi, come l’ormai quotata Beyond Meat, che produce alternative vegetali alle carne e in pochi giorni ha triplicato il valore delle sue azioni a Wall Street, per essere inglobate.
Online e offline
Mondelez ha iniziato a muovere le sue pedine. Tra marzo e aprile ha acquistato una quota di minoranza in Uplift, una startup statunitense che produce alimenti probiotici, e in Hu, che sforna snack salutistici, con materie prime lavorate al minimo. Di fatto, Snack Futures funziona come un fondo di investimento interno, come hanno già fatto altri giganti come Nestlé, Mars, Coca Cola, Campbell’s e Unilever. “Entro il 2022 Snack Futures dovrà contribuire con una crescita dei ricavi di 100 milioni di dollari”, spiega Wolf.
Anche Ferrero ha avviato un programma simile, Oggi una squadra di venti persone, divisa tra Lussemburgo, New York e Singapore, studia imprese innovative, nuove tecnologie e ricerche scientifiche per aggiornare la storica azienda della Nutella.
“Non partecipiamo a incubatori esterni, ma abbiamo sviluppato il nostro team e il focus è su identificare le tecnologia utili per scegliere le materie prime per i prodotti, stabilire la tracciabilità, sviluppare tecnologie di lavorazione del cibo”, spiega Jason Voogt, direttore open innovation di Ferrero, a Seeds and chips, la fiera sull’innovazione in campo alimentare in corso a Milano.
D’altro canto le aziende alimentari non devono più guardarsi solo dai concorrenti diretti, ma anche dall’espansione serrata dei giganti della tecnologia. Amazon, che ha già riscritto le regole della vendita e della distribuzione, ha acquistato la catena di supermercati Whole Foods. Il suo corrispettivo cinese, Alibaba, ha giocato la stessa carta. E anche Google ha affari in tavola, per esempio con Soylent, che sviluppa snack per sostituire un pasto.
La posizione dell’Europa
Solo in Europa, che pure pesa per un quarto del mercato agroalimentare mondiale, gli investimenti nel foodtech stentano a decollare. Nel 2018 i finanziamenti a startup del settore hanno totalizzato tra 750 milioni e un miliardo di euro nel 2018, il 40% in meno rispetto al 2017. E tra il 2014 e la prima metà del 2018 il settore ha attratto il 16% degli investimenti globali, secondo dati della società di consulenza francese Digital food lab. Contro il 25% di peso nei consumi.
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