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Arte – Giovanni Borgonovo, la bellezza non ha memoria. Loris Zanrei: “ Come ho trovato un tesoro dimenticato “.

di Loris Zanrei

Ritratto – Giovanni Borgonovo

Partiamo da un punto, poco tempo fa vengo contattato da una famosa casa d’aste la quale mi offre la possibilità di gestire e celebrare una grande collezione di 63 opere dell’artista milanese Giovanni Borgonovo. Il progetto è quello di valorizzare e rendere note opere che rappresentano un tempo d’oro dell’arte Italiana. Ho visto e vissuto questa opportunità come una ricerca. Anzi, una scoperta. La scoperta di un tesoro nascosto. Poi mi sono scontrato con la realtà di un tempo presente, che il senso del presente lo ha smarrito, lo sguardo all’indietro è diventato necessità, ultima chance. Non semplicemente citando, ma recuperando sintassi, motivazioni e slanci di un artista che ha ancora qualcosa da raccontare. Ma è come cercare una risposta in mezzo al niente.

Giovanni Borgonovo non rimane prigioniero della visione quasi fotografica della ritrattistica che gli deriva dall’arte fiamminga, va oltre, inserendo la sua umanità concreta in spazi ideali tipicamente italiani. I grandi artisti vivono di opere che non hanno tempo, e Giovanni Borgonovo resterà immortale oltre ogni banalità e superficialità tipica del nostro momento storico. Il Novecento è stato il secolo d’oro del design, e in un contesto del genere anche un gabinetto può assumere i connotati di un’opera d’arte, quando viene presentato al pubblico da Marcel Duchamp. Si tratta di un passaggio epocale: Duchamp ci obbliga a non usarlo ma vederlo, cambiando in questo modo la percezione che abbiamo degli oggetti quotidiani. Ma il novecento è stato anche il grande secolo di artisti le cui opere sono oggi abbandonate alla propria esistenza. Rispetto ai principi dell’800 il Novecento da noi si è disperso in tanti regionalismi. A livello internazionale l’Italia si è segnalata con la Metafisica, con De Chirico, con Carrà. Il Futurismo. Poi, mentre esplodeva il Surrealismo francese, il nostro Paese non segnalava più emergenze.

“ Paesaggio “ Giovanni Borgonovo

Giovanni Borgonovo e’ un ritrattista, in ogni sua opera l’anima dell’uomo deve farsi più grande, essere pronta a superarsi, ad affrontare le prove estreme che si elevano oltre il gesto. La sua pittura è sconvolgente e moderna, una concezione dell’arte che dopo l’interesse dei contemporanei viene dimenticata dalle istituzioni, perché non se ne intende il vero significato e la straordinaria penetrazione nell’essenza stessa della realtà. Nei paesaggi di Borgonovo si sente la stessa ambivalente emozione dei poeti romantici di fronte alla natura (si pensi a Leopardi), un misto di esaltazione e di sgomento, di felicità e di terrore, di liberazione e di inadeguatezza. L’uomo è spesso assente o, se è presente, lo è in una condizione assai singolare: o infinitamente minuscolo in un vastissimo spazio, come in quella Campagna al mattino dove il pastore con il suo gregge sta al centro di un coro di cieli, montagne, acque e sconfinate campagne, partecipando di questa immersione come un privilegio solitario e incomunicabile, dal quale è esclusa la città, di cui vediamo il profilo all’orizzonte; o in contemplazione, come dal di fuori, dello spettacolo naturale, che spesso corrisponde a uno stato d’animo interiore; o in azione, in forza del privilegio dell’arte di realizzare i sogni e le aspirazioni più alte.

L’anima di Borgonovo è profondamente cristiana e la sua concezione della natura, con il suo grandioso respiro, corrisponde perfettamente al limite dell’uomo di fronte all’immensità del divino.

Nel Novecento, paradossalmente, sembra non esserci spazio per l’arte più gradevole, figurativa; un artista che una volta sarebbe stato parte di una élite adesso è invece un emarginato. Borgonovo vive in un’epoca di crisi e ha come riferimento due artisti: Giovanni Boldini e Antonio Mancini.

Giovanni Borgonovo si muove in un mondo che sta per finire, e cerca di fermarlo nel tempo attraverso le sue opere per farlo diventare immortale, come nel ritratto di Dorian Gray. Ma ora i suoi quadri ci appaiono vecchi, forse perché servono a far ricordare le persone che vi vengono ritratte ed è forse quello il limite dell’artista. L’esistenza di questi personaggi supera il ricordo, non è un caso che in Italia non vi siano monumenti a De Gasperi e Moro. La nostra mente si è allontanata dalla necessità di rappresentare una persona sottraendola al tempo. La pittura non parte dalla realtà ma cade in conflitto con la fotografia. Ma in Borgonovo c’è un assoluto bisogno di spirito che si innalza oltre il racconto fine se stesso. Oggi questo artista viene ignorato dalle istituzioni, Milano, sua città natale, dimentica di celebrare un suo grande figlio cui ha concesso solo di essere presente in alcune sale dell’ospedale Maggiore. Oggi tutto è superfluo, come il fatto di chiedere uno spazio degno per poter celebrare un artista che aiuterebbe noi tutti a cogliere l’intelligenza formale e la forza espressiva di un pittore che, nella deflagrazione delle avanguardie e negli anni della metafisica, mantenne un’autonomia e un’ attualità di perfetto spirito mitteleuropeo, in equilibrio fra Felice Casorati ed Egon Schiele. Una pittura sentimentale e psicologica, in parallelo con La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Milano non può dimenticare Giovanni Borgonovo.

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