
ADOZIONI GAY, LA REALTÀ OLTRE LA POLITICA
Adozioni gay, il tema legato alle adozioni da parte di coppie omosessuali è a un livello di attenzione che la “politica politicante” si sogna. Come prima e più di prima, fa sorridere la visione “statica” di chi pensa che il problema sia semplicemente fare o non fare una legge per permetterle o vietarle. La libertà e l’amore non fanno politica.

Il punto però è un altro: c’è una realtà, quella di milioni di minori (sono già migliaia anche in Italia) che vivono con il proprio genitore e il suo compagno gay; quella di lesbiche che ricorrono all’inseminazione artificiale e poi allevano i figli con la propria compagna; quella di adozioni che vengono e verranno fatte in Paesi che lo permettono o lo permetteranno. Noi continueremo a discutere (non abbiamo ancora nemmeno le unioni civili…), ma la realtà corre più velocemente delle discussioni. Anziché accettare che la buona politica è quella che include tutti nella sfera dei diritti e della libertà, staremo ancora qui a litigare sulla forma delle cose.
– Se per farsi un’idea del punto a cui sono arrivati la ricerca scientifica e il dibattito accademico sulla cosiddetta omogenitorialità qualcuno decidesse di aprire la pagina web della Columbia Law School, che fa parte della prestigiosa Columbia University di New York, potrebbe ben pensare che il dibattito è concluso e deciso. Non c’è nessuno svantaggio a essere figli di una coppia di donne o di uomini anziché avere come genitori un uomo e una donna, si legge nel testo posto all’attenzione del pubblico, poiché questo è ciò che si evince dai 79 studi condotti finora negli Stati Uniti sul benessere dei bambini nelle famiglie omoparentali: solo 4 di essi riferiscono di svantaggi dei primi sui secondi, per cui si può concludere che «l’opinione dominante fra gli studiosi» è che «avere per genitore un gay o una lesbica non causa danni ai figli». Quando dopo le elezioni politiche in Italia si ricomincerà a discutere sull’introduzione della possibilità per le coppie dello stesso sesso di adottare bambini e di usufruire della cosiddetta maternità surrogata, quasi certamente i due parlamentari del Pd Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice sventoleranno in aula gli Abstract degli studi in questione. Peccato però che siano profondamente viziati da errori metodologici e fattuali, come ha recentemente dimostrato il reverendo Paul Sullins, docente di sociologia della Catholic University of America di Washington.
Degli studi di Sullins, che è un sacerdote ex episcopaliano (anglicani americani) sposato e padre di tre figli, passato alla Chiesa cattolica nel 2002, si parla estesamente in un testo di Elena Canzi, psicologa e docente all’Università Cattolica di Milano, recentemente edito da Vita e Pensiero: Omogenitorialità, filiazione e dintorni – Un’analisi critica delle ricerche. Testo che si avvale della presentazione di due grossi calibri degli studi di psicologia della famiglia in Italia: Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli. Alla fine il Centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia della Università Cattolica di Milano diretto da Giovanna Rossi ha invitato a parlare tutti, cioè Paul Sullins, Elena Canzi, Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, a un seminario internazionale dal titolo “Omogenitorialità e filiazione” che si è tenuto il 28 settembre.
Quali errori che vizierebbero i risultati finali avrebbe scoperto Sullins? Fondamentalmente due. Il primo riguarda la carente rappresentatività e la ridotta dimensione dei campioni di popolazione utilizzati nei 75 studi etichettati come “no harm” (cioè nessun danno dal fatto di essere i bambini di una coppia omosessuale). «Conteggi accurati da parte di revisori sia favorevoli sia critici concordano che solo 5 studi di tutto il gruppo hanno utilizzato un campione casuale. Ciò significa che 70 dei 75 studi che sostengono l’opinione “no harm” non utilizzano un campione rappresentativo a sostegno della loro inferenza. Quanto sono piccoli i campioni di convenienza “su scala ridotta” utilizzati in questi 70 studi? Molto piccoli. La grandezza media è di appena 39 partecipanti in relazioni same-sex. In altre parole, quasi tutti gli studi “no harm” presentati come “ricerca” sono basati su sondaggi di contatti e amici, e amici degli amici, dei ricercatori stessi; oppure si tratta di genitori reclutati in ambiti omofili come “eventi Lgbt, pubblicità su giornali e in librerie, passaparola, gruppi giovanili e reti di relazioni”, ai quali sono stati spiegati gli scopi dello studio e sono stati invitati a mostrare come se la cavavano bene i loro figli. Questa procedura non è credibile. Cercare di valutare quanto vadano bene le cose per bambini accuditi da coppie gay intervistando reti amicali favorevoli alle richieste dei gay è come cercare di valutare il tasso di religiosità di una popolazione intervistando i partecipanti a un corso di studi biblici e i loro amici». I 5 studi che rivelano svantaggi per i figli di coppie omosessuali, invece, sono tutti basati su campioni casuali e quantitativamente rappresentativi.
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