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James Dean, Storia di un mito che continua ad essere leggenda

James Dean

Era il 30 settembre del 1955, l’attore moriva nella schianto a bordo della sua Porsche trasformandosi immediatamente in un mito pop. I film, gli amori, le leggende intorno al ribelle più fragile di Hollywood.

Era ipersensibile e si vedeva dallo sguardo, dal modo in cui si muoveva e parlava, che aveva sofferto molto. Era afflitto dalle proprie insicurezze”. Così Marlon Brando, tra i ricordi autobiografici, descrive James Dean, di cui il 30 settembre ricorre il sessantesimo della morte al volante della sua Porsche 550 Spyder, che lo catapultò direttamente nell’empireo dei miti pop. Il modo in cui il “selvaggio” etichetta “il ribelle” è, con tutta probabilità, il più azzeccato. Se il suo enorme successo, ottenuto con soli tre film, fu l’esito di fattori diversi (un’ottima promotion, la sua identificazione con la “rock generation”…), Jimmy fu lo specchio di una generazione perché era – insieme – il ragazzo della porta accanto e un ventenne sofferente, insicuro, edipico, che usava la provocazione come una maschera del proprio disagio.

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Tra il 1953 e il 1957, mentre si diffondeva il mito delle gare automobilistiche, la Porsche presentò il prototipo della Porsche 550 Spyder, una vettura leggera (590 kg) e aerodinamica che consentiva di raggiungere velocità di 220 chilometri orari con un’accelerazione fino a 100 chilometri orari in 10 secondi. James Dean, che aveva una passione per la velocità, acquistò uno dei novanta modelli prodotti di Porsche 550 Spyder, e la ribattezzò “Little Bastard”, piccola bastarda. Il 30 settembre del 1955 James Dean, abordo della sua Porsche, percorrreva la Statale 46, diretto a una corsa automobilistica cui avrebbe dovuto partecipare a Salinas, in California. Aveva 24 anni, la sua carriera era all’apice (“La valle dell’Eden” e “Gioventù bruciata” erano appena usciti, “Il gigante”, da poco concluso, non era ancora nelle sale), e stava facendo quello che gli piaceva di più: correre in auto. Donald Turnupseed, 23 anni, a bordo di una Ford Berlina gli tagliò la strada. Le due auto si scontrarono, e l’attore perse la vita. In questa foto, l’auto dopo l’incidente.

Si dice che il divo del cinema sia un paradigma, una “narrazione” incarnata in diversi personaggi; e Dean fu la narrazione perfetta per un periodo – gli anni Cinquanta – di forte mutazione antropologica. Dopo la sua morte fiorirono gli aneddoti. Dean si era dichiarato omosessuale per evitare il servizio nell’esercito. John Steinbeck, che lo aveva incontrato per La valle dell’Eden, lo aveva trovato eccessivamente sfacciato. Dean improvvisava sul set, trasgredendo le direttive del regista: che però, poi, decideva di mettere nel film la sua improvvisazione. Jimmy beveva troppo, correva come un dissennato in moto e in auto. Dean soffriva per amore di Anna Maria Pierangeli, che lo lasciò per sposare un cantante. Ne avremo qualche riscontro tra poco, quando uscirà sui nostri schermi il biopic Life di Anton Corbijn, dove si racconta l’amicizia tra il fotografo Dennis Stock (Robert Pattinson) e Dean (interpretato da Dane DeHaan).

James Dean, tre film per diventare una leggenda

Sia vero o no tutto questo, comunque, il suo fu un caso di perfetta identificazione tra personaggio e attore. Pur con registi diversi (i grandi Elia Kazan e Nicholas Ray, il mediocre George Stevens), con differenti contesti e origini, i tre film interpretati da Jimmy Dean nel giro di un anno o poco più – La valle dell’EdenGioventù bruciataIl gigante –  sono film “di” Jimmy Dean. I rispettivi character (osservare un dettaglio: tutti hanno un nome corto), Cal Trask, Jim Stark, Jett Rink, rappresentano altrettante personificazioni dell’attore, hanno il suo stesso sguardo ferito e gli identici tic nervosi. Quasi che Dean non avesse bisogno di “interpretarli”, ma si limitasse a mettere in scena se stesso.

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Altro dettaglio da non trascurare, quando si ragiona sull’identificazione del pubblico, è l’avvenenza di Jimmy. Come altri colleghi della prima generazione dell’Actors Studio – Marilyn Monroe, Marlon Brando, Paul Newman, Montgomery Clift – Dean era bello: a differenza di attori della seconda generazione della scuola di Lee Strasberg – come Dustin Hoffman, Robert DeNiro, Al Pacino – che affidarono la propria popolarità a doti meno “fisiche” rispetto ai predecessori. Il che non significa, intendiamoci, che James fosse meno bravo di loro.

James Dean, lo specchio di una generazione 

Lo era invece, e molto. Per sincerarsene basta una piccola prova. Chi può e vuole, si procuri una copia di La valle dell’Eden e vada alla scena in cui Cal porta al padre 5000 dollari per risarcirlo di una perdita economica. Il ragazzo è orgoglioso e felice, ma il padre lo respinge facendo mutare l’espressione del suo viso dalla gioia al dolore. Ecco, qualsiasi altro attore avrebbe espresso i due sentimenti opposti in successione, sostituendo il primo con il secondo. Ma osservate: Jimmy riesce, per un attimo, a farli convivere e la sua faccia esprime contemporaneamente emozione, gioia, sorpresa, delusione, sofferenza. E se non è un grande attore questo, chi chiameremo mai grande attore?

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