
FASHION
L’attenzione per il mercato del lusso è sempre in crescita. Cresce anche l’interesse da parte del mondo accademico, dove le domande più frequenti riguardano quali sono gli elementi di valore che giustificano l’attribuzione di un posizionamento “luxury” e come la catena del valore delle aziende del lusso può adattarsi ad un contesto di business in continua evoluzione.

Stiamo vivendo in un’era di sfide senza precedenti, in cui l’ascesa o il crollo di un brand di lusso può accadere dal giorno alla notte
Articolo di Cecilia Maria Castelli e Alessandro Brun sull’“International Journal of Retail & Distribution Management”
L’attenzione per il mercato del lusso è sempre in crescita, come testimoniano i numerosi forum, workshop ed eventi dedicati a questo tema. Cresce anche l’interesse da parte del mondo accademico, dove le domande più frequenti riguardano (i) quali sono gli elementi di valore che giustificano l’attribuzione di un posizionamento “luxury” e (ii) come la catena del valore delle aziende del lusso può adattarsi ad un contesto di business in continua evoluzione, caratterizzato da consumatori sempre più consapevoli ed informati, dall’esplosione delle tecnologie digitali e da mercati turbolenti.
Oggi la competizione nel mercato del lusso è molto più complessa, ed è facile assistere al successo improvviso di nuovi brand quanto al rapido declino di altri.
Ecco 5 temi fondamentali che i manager delle aziende del lusso non possono tralasciare per raggiungere con successo un posizionamento “luxury”, ma soprattutto per mantenerlo nel tempo.
1. Sfruttare la rivoluzione digitale a 360°
Certamente il “digitale”, in tutte le sue sfumature, è il trend che più di tutti caratterizza il contesto competitivo di questi anni e continuerà a segnare il percorso futuro seguendo le sfide che le nuove tecnologie impongono agli attuali modelli di business. E’ un fattore che può essere letto come una minaccia o come un’opportunità, a seconda di come lo si affronta. Le aziende del lusso devono pianificare a livello strategico la propria evoluzione sul fronte digitale a 360 gradi, ragionando, quindi, su sviluppi tecnologici che non si limitino alla creazione e all’utilizzo di piattaforme e-commerce. Questo significa, per esempio, mappare i comportamenti d’acquisto degli “smart consumers”, creare modelli per estrarre informazioni utili dai “big data” raccolti sui punti vendita, implementare la visibilità lungo la Supply Chain, virtualizzare lo sviluppo dei nuovi prodotti e i processi produttivi.
Tempo fa, in risposta al nostro suggerimento di mettere in ogni borsetta una targhetta con un numero identificativo univoco, il responsabile Sviluppo Prodotto di uno dei più famosi brand di pelletteria ci disse: “la nostra azienda ha uno stile classico, non abbiamo bisogno di elementi innovativi. Non vedo alcun vantaggio ad introdurre un elemento di questo tipo nelle nostre borsette.” Tuttavia, chi acquista prodotti di lusso – al di là delle differenze di età o nazionalità – è sempre più interessato alla trasparenza dei processi aziendali ed alla tracciabilità, e quindi a conoscere la “storia” della propria borsetta, dall’origine dei materiali utilizzati, allo stabilimento di assemblaggio, al percorso fatto per arrivare al punto di acquisto. Non poter accedere a queste informazioni potrebbe portare i clienti a preferire un altro brand.
2. Gestire la comunicazione digitale
“Digitale” è anche sempre più sinonimo di canali di comunicazione. Sebbene gli ultimi mesi abbiano segnato un’accelerazione, molte aziende del lusso sono ancora molto arretrate su questo fronte e dovrebbero far evolvere il proprio stile di comunicazione in modo da attirare i nuovi importanti cluster di potenziali consumatori, i cosiddetti “Gen Y” e i “Millennials”. Tutto ciò, naturalmente, senza perdere l’identità del brand.
La sfida è quindi doppia: da una parte occorre imparare un nuovo linguaggio ed utilizzarlo con efficacia; dall’altra, occorre gestire gli ambienti virtuali/social in cui il brand è presente in modo da assicurare perfetta coerenza in una prospettiva “omnichannel”.
Nell’era di internet, qualsiasi messaggio inviato viene amplificato e ritrasmesso, diventando una lama a doppio taglio: una mossa sbagliata o un messaggio inconsistente sarà immediatamente in mondovisione; e se un brand decide di non comunicare attraverso internet, qualcun altro lo farà per lui…
Non è possibile fermare i blogger, i forum, le comunità virtuali: ogni mossa, ogni scelta, ogni non-scelta verrà commentata.
3. Continuare a investire sulle core competence
Oggi un brand non può far a meno di conoscere esattamente quali sono gli elementi “core” alla base del proprio successo (design, innovazione, eccellenza dei processi produttivi, …). Il know-how strategico legato a tali elementi è un asset fondamentale da mantenere all’interno dell’azienda: internalizzare le core competence è forse il principale driver di alcune scelte di integrazione verticale fatte recentemente da brand leader del mercato del lusso, e non soltanto nei settori “fashion”.
Il primo passo è conoscere i propri punti di forza; il secondo è continuare ad alimentarli.
“I nostri artigiani pellettieri hanno in media 35-40 anni di esperienza in questa azienda”: questo non è un vantaggio competitivo, ma un grande rischio. Chi realizzerà queste borse eccezionali quando – tra 5 anni – quasi tutti i vostri artigiani saranno i pensione, se con loro perderete il know how strategico?
Le aziende dovrebbero puntare sui giovani considerandoli un asset strategico, istituendo percorsi formativi interni ad hoc non solo in ambito manageriale ma anche per conservare le capacità artigianali (es: una leather-craft academy per la pelletteria).
4. Mantenere attività produttive nei paesi d’origine
In molti casi, la “Country of origin” è ancora un fattore critico di successo di grande importanza perché un brand possa fregiarsi di un posizionamento “luxury”. Quando i consumatori associano un “made in” ad un certo prodotto o brand, diventa obbligatorio avere stabilimenti produttivi nel paese di riferimento (o addirittura nella regione o nel distretto di origine). I brand del lusso dovrebbero in generale evitare la delocalizzazione in paesi low cost, soprattutto se non si tratta di paesi a cui è associata un’ottima reputazione produttiva per il prodotto in questione; questo criterio vale in assoluto per le prime linee, mentre per le seconde linee è plausibile un approccio di (parziale) delocalizzazione. E’ per questo che una delle tendenze sul fronte industriale è il “re-shoring” della produzione dal Far East all’Europa, anche in risposta alle turbolenze sui mercati asiatici.
Si sta probabilmente chiudendo il periodo dell’off-shoring nei paesi a basso costo; meglio evitare delocalizzazioni azzardate – come mostra l’esperienza di un brand molto famoso, per cui la produzione di borse in nylon in uno stabilimento cinese ha prodotto impatti negativi anche sul business calzature. Le scelte di localizzazione devono essere guidate – piuttosto – da criteri logistici legati ai mercati di distribuzione.
5. Sostenibilità
Lusso è anche sentirsi bene. E i consumatori sono sempre più attenti alle problematiche sociali e ambientali. I più consapevoli – sia nei mercati maturi che in quelli emergenti – non vogliono più semplicemente esibire livelli di spesa molto elevati; spesso preferiscono mostrare il proprio status destinando attenzione (e quattrini) a oggetti ed esperienze appaganti a livello intellettuale. Questa tendenza porta la sostenibilità a diventare una delle aree più strategiche per le aziende del lusso: l’investimento in prassi etiche sotto il profilo sociale e/o ambientale può ripagare sia in termini di margini (perché migliorerebbero la percezione del prodotto e del brand) che in termini di saving nel lungo periodo – non dimentichiamo che la terza dimensione della sostenibilità, oltre a quella sociale – “People” – e quella ambientale – “Planet” –, è prettamente economica – “Profit”.
Le aziende del lusso, quindi, devono lavorare esplicitamente per rendere più sostenibili i propri processi, lungo tutta la Supply Chain ma anche nei negozi.
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