di Filippo Grugnetti

Come cambierà il mondo dopo la grande pandemia? L’emergenza legata alla diffusione del coronavirus è ancora drammaticamente in corso ma quel che già appare evidente è che la pandemia avrà forti ripercussioni sulla società, l’economia e la psiche della popolazione. Spesso, d’altra parte, i cambiamenti più profondi risultano solo da contingenze drammatiche che costringono le persone a riesaminare radicalmente il loro modello di vita, e in questo caso potremmo beneficiare della grave situazione per elaborare soluzioni rivoluzionarie a beneficio di tutti.
La domanda è scontata: quanto durerà tutto questo? Settimane? Mesi? «La maggior parte di noi probabilmente non ha ancora realizzato fino in fondo, e lo farà presto, le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più», ha scritto in un articolo spiazzante quanto ben argomentato Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine della prestigiosa università americana), un’analisi dedicata ai cambiamenti nella vita personale e nel mondo del business che la pandemia, secondo la visione dello studioso, finirà per cristallizzare anche dopo che sarà attenuata .«Per fermare il coronavirus dovremo cambiare radicalmente quasi tutto quello che facciamo: come lavoriamo, facciamo esercizio fisico, socializziamo, facciamo shopping, gestiamo la nostra salute, educhiamo i nostri figli, ci prendiamo cura dei nostri familiari». La cosa è resa accettabile dal suo essere circoscritta nel tempo, ma cosa accadrebbe se diventasse qualcosa di perenne?

Da Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review, allo storico israeliano Yuval Noah Harari, le ipotesi di lungo termine: «È l’inizio di uno stile di vita completamente diverso»
Trump ha detto che «con diverse settimane di azione mirata, possiamo svoltare l’angolo e capovolgere la situazione in fretta» e in Cina, sei settimane di isolamento cominciano ad alleggerire la situazione. Ma il direttore della rivista sostiene che fino a che non si troverà un vaccino e fino a che ci sarà nel mondo qualcuno ad avere il virus, le epidemie continueranno a ripetersi (come mostra il grafico sotto), imponendo l’adozione di quel modello a «elastico» ipotizzato dai ricercatori dell’Imperial College di Londra. Il loro metodo di controllo è basato sulla idea di imporre misure di distanziamento sociale più estreme ogni volta che i ricoveri nei reparti di terapia intensiva iniziano ad aumentare, e rilassarli ogni volta che i ricoveri diminuiscono.

Palestre on line e ritorno alla bicicletta
Quindi, sostiene Lichfield, non si sta parlando di un’interruzione temporanea. È l’inizio di uno stile di vita completamente diverso. Secondo Technology Review, a breve termine il contraccolpo più forte sarà per le imprese che contano su un gran numero di persone che si riuniscono in massa: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, gallerie d’arte, centri commerciali, fiere dell’artigianato, musei, musicisti e altri artisti, luoghi sportivi, compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici, scuole private. Questo nuovo stile di vita sempre secondo l’analisi dello studioso darà un impulso decisivo alla Shut-in economy, l’economia on demand che vede svolgere le transazioni prevalentemente online. «Le palestre cominceranno a vendere attrezzature per esercizio a casa e fare sessioni online, le nuove abitudini diminuiranno l’impatto ambientale dei viaggi, favoriranno il ritorno a filiere produttive locali, a un maggior ricorso al camminare e alla bicicletta».
Come si prenderà un volo
La domanda di sottofondo è: come possiamo vivere in questo nuovo mondo, dove le sale cinematografiche toglieranno metà dei loro posti, le riunioni si terranno in sale più grandi con sedie distanziate, e le palestre richiederanno di prenotare gli allenamenti in anticipo, in modo che non si affollino? E come si potrà vivere in un mondo che svilupperà i modi più sofisticati per identificare chi sia a rischio di malattia e chi no? «Si può immaginare un mondo in cui, per salire su un volo, forse si dovrà essere iscritti a un servizio che tracci i vostri spostamenti attraverso il vostro telefono. La compagnia aerea non sarebbe in grado di vedere dove siete andati, ma riceverebbe un avviso se foste stati vicini a persone infette o a punti caldi della malattia. Ci sarebbero requisiti simili all’ingresso di grandi spazi, edifici governativi o snodi di trasporto pubblico. Scanner della temperatura installati ovunque, e il vostro posto di lavoro potrebbe richiedere l’uso di un monitor che misuri la vostra temperatura o altri segni vitali. Dove i locali notturni chiedono una prova dell’età, in futuro potrebbero chiedere una prova di immunità, una carta d’identità o una sorta di verifica digitale tramite il vostro telefono, che dimostri che siete già guariti o che siete stati vaccinati contro gli ultimi ceppi del virus».
Chi ci rimette davvero?
In questo scenario i controlli così invasivi saranno però accettati come l’inevitabile prezzo da pagare per vivere in una società sana e controllata. A livello economico il costo maggiore sarà sopportato dai «gig worker», quelli che fanno lavoretti o sono molto in giro, come autisti, insegnanti di yoga free lance e idraulici. Oltre ovviamente agli immigrati, i rifugiati, i clandestini e gli ex detenuti dovranno affrontare l’ennesimo ostacolo all’ingresso nella società, prevede Lichfield. «Il mondo è cambiato molte volte, e sta cambiando di nuovo. Tutti noi dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare e di creare relazioni. Ma come per tutti i cambiamenti, ci saranno alcuni che ci perderanno più degli altri, e saranno quelli che hanno già perso troppo».
Il lato positivo
Anche Yuval Noah Harari, tra i più importanti storici israeliani contemporanei, ha scritto un lungo articolo sul Financial Times per ragionare sugli effetti a lungo termine delle azioni intraprese in questo momento. Può sembrare prematuro, ma è necessario, argomenta: «Quando scegliamo tra varie alternative, dovremmo chiederci non soltanto come superare la minaccia immediata, ma anche che mondo abiteremo quando la tempesta sarà passata. Sì, la tempesta passerà, il genere umano sopravviverà, la maggior parte di noi rimarrà vivo, ma abiteremo in un mondo diverso». Harari nota che molti provvedimenti emergenziali pensati per risolvere un problema a breve termine sopravviveranno anche nel lungo periodo. Ma il suo punto di vista è meno pessimista. « La natura dell’eccezione è stravolgere i normali processi decisionali: quello che in tempi normali verrebbe deciso in anni, adesso impiega in poche ore; tecnologie immature o addirittura pericolose vengono utilizzate prima del tempo, perché il rischio di non far nulla è più grande». Questo ha anche dei lati positivi, perché si dà il via a sperimentazioni che in tempi normali verrebbero osteggiate: discutiamo da anni di e-learning o lavoro da casa, e adesso ci troviamo tutti in questa situazione. È un’accelerazione inaspettata che non si sarebbe mai verificata altrimenti, e può rivelarsi utile per il futuro».
Un Grande Fratello sanitario
Il governo potrebbe costringere tutti a portare un braccialetto che scansioni in tempo reale il comportamento del nostro organismo, per esempio: saprà se abbiamo la febbre, se il nostro cuore batte troppo velocemente, se la nostra pressione è da tenere sotto controllo. È facile capire che con tali dati a disposizione bloccare la catena di contagi sarebbe relativamente semplice. Il problema è che, con questo tipo di sorveglianza, lo Stato può sapere anche cosa ci rende nervosi, cosa ci rilassa, cosa ci diverte e cosa ci rende tristi, quando siamo svegli, quando dormiamo, quando facciamo attività fisica. Informazioni che non vogliamo consegnare al governo pro tempore. Si potrà dire, scrive Harari, che le misure sono emergenziali, e quindi una volta finito il bisogno potranno essere messe da parte. Ma chi lo garantisce? Accade molto spesso che i regimi emergenziali restino a lungo.
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