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Intervista esclusiva a Iris Apfel

Di Redazione
‎04 ‎maggio‎ ‎2019

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A 90 anni più che inoltrati è l’esempio di stile per definizione. Ma l’età conta sì e no, dice Iris Apfel, la signora dai grandi occhiali e gli outfit al fulmicotone. Così, tra progetti di nuove Barbie e la linea di make-up a suo nome, ha già immaginato il destino che avrà la sua straordinaria raccolta di vestiti.

Una Barbie di solito evoca l’infanzia, invece Iris Apfel, 97 anni il prossimo 29 agosto, ne ha ricevuta una “al valore pop”. La carriera di icona accidentale, come si definisce nel suo libro “Iris Apfel: Accidental Icon” (HarperCollins), è cominciata solo 13 anni fa. Da quando cioè la mostra “Rara Avis: Selections From The Iris Apfel Collection” al Costume Institute del Met di New York l’ha trasformata da addetta ai lavori (per anni ha diretto con il marito Carl, scomparso centenario nel 2015, l’azienda tessile Old World Weavers) a “starlet geriatrica” venerata da un’ampia platea transgenerazionale. «Mattel ha creato la mia Barbie come un pezzo unico per farmene dono, ma viste le richieste ora in azienda stanno pensando di metterla in produzione. Intanto in autunno curerò lo styling di due nuove Barbie, una afro-americana e una caucasica», spiega nel suo appartamento di Park Avenue.
È solo un tassello di un panorama di progetti che include anche una linea di gioielli di porcellana con Bernardaud e un rossetto, Very Red Apfel, prodotto da Edward Bess at Bergdorf Goodman. Con il beauty Apfel ha sempre avuto un rapporto spartano, fatto di molto Cetaphil per il viso – «lo uso per la pulizia e anche come emolliente» – e di legami duraturi, come quello con il parrucchiere Hervé che ha seguito fedelmente negli anni fino al suo attuale approdo da John Barrett. Uniche concessioni più “urlate”: le ciglia di cera e i rossetti rossi iperpigmentati. «A 18 anni avevo un’amica modella di Seventh Avenue che si applicava questa cera da baffi nera sulle ciglia creando un look da Miss Piggy. La preparazione ricordava quella di una droga, con la cera fusa su un cucchiaio scaldato a fiamma. Il tutto veniva poi pennellato sulle ciglia a una a una». Il suo amore per i rossetti, invece, è stato premiato, passati i novanta, con una chiamata di Mac con cui ha collaborato nel 2012 a una linea di rossetti, smalti e ombretti dai nomi quali Pink Pigeon e Too Chic.

Nel glamour della vita di Iris spicca a sorpresa un incarico accademico cui tiene molto; torrenziale il titolo: Visiting Professor at University of Texas, Austin School of Human Ecology Division of Textiles and Apparel. «Dal 2012, 15 dei migliori studenti di design dell’ateneo sono mandati a New York per una settimana. Cerco di fare capire loro che la moda comprende tanti lavori oltre a quello di stilista: trend forecasting, licensing, styling e coordinamento museale. Negli anni li ho portati in visita didattica da Tommy Hilfiger e Swarovski, ma anche da Kenny Wyse, presidente delle licenze di Phillips-Van Heusen. Dal 2017 ho inserito anche il Gift Show (“NY Now the market for Home & Lifestyle”, fiera di regali e oggetti per la casa; la prossima edizione è dal 12 al 15 agosto, ndr) al Jacob Javits Center. L’anno scorso gli studenti dovevano aprire e gestire un gift shop virtuale con un determinato budget. Il risultato è valso come credito nel loro curriculum universitario».
La domanda è lecita: che ne sarà della collezione di abiti e accessori di Iris? Lei ha già scelto il museo destinatario, non l’ovvio Costume Institute del Met, che ospita anche la Carl and Iris Barrel Apfel Gallery, ma il Peabody Essex Museum di Salem, Massachusetts. «Il Costume avrebbe preso solo alcuni pezzi; io voglio che la collezione resti intera. E poi mi piace come è impostato il museo di Salem: hanno una grande collezione di costumi dal 700 fino agli anni Trenta del 900, quando gli abiti sono ancora molto curati, ma diventano un po’ rigido-Bostonian. La mia collezione, che parte più o meno da quel periodo, s’incastra alla perfezione nel loro percorso». Nel 2009, per la mostra “Rare Bird of Fashion: The Irre ve rent Iris Apfel”, ha conosciuto una fetta della tipica umanità di Salem. «Non temo le streghe, anzi. Un amico stilista che aveva una causa giudiziaria mi chiese di trovarne una in zona. Lei gli suggerì d’infilarsi una foglia d’alloro in una scarpa prima dell’udienza. E lui vinse».

L’Italia per Iris è stata un punto fermo – professionale perché andava a Caserta a comprare la seta –, ma anche personale. «Ricordo l’eleganza travolgen te dei napoletani. Persino i bambini di 10 anni che aiutavano nei bar di famiglia erano impeccabili con quei capelli neri lucidi e il grembiule bianco, fresco di buca to. Ho cominciato a bere caffè espresso a causa loro. E ricordo quando andai in via Gregoriana, a Roma, in visita all’atelier di un Valentino agli esordi, ma finii per comprare tutto dai suoi dirimpettai, Simonetta e Alberto Fabiani, che facevano i saldi d’addio all’alta moda. Uno di quei pezzi, che ho ancora, è finito nella recente mostra “Ocean Liners: Glamour, Speed and Style” proprio al Peabody Essex».

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